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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento individuale
Data: 16/08/2005
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 236/05
Parti: Oscar L. / INPS
DEMANSIONAMENTO – ORDINANZA DI REINTEGRA NELLE MANSIONI - INTERVISTA CRITICA RILASCIATA AD UN QUOTIDIANO – UTILIZZO DI DOCUMENTAZIONE AZIENDALE - SUCCESSIVO LICENZIAMENTO – ILLEGITTIMITA


Una dipendente di un istituto di credito che a seguito di demansionamento aveva chiesto ed ottenuto un’ordinanza di reintegra in mansioni equivalenti dal Tribunale del lavoro di Reggio Emilia, ritenendo il proprio datore inottemperante al provvedimento del magistrato aveva segnalato la propria vicenda alla Commissione per le pari opportunità presso il Ministero del lavoro ed aveva rilasciato un’intervista ad un giornale con esposizione dei fatti ed apprezzamenti sul comportamento della banca che la medesima riteneva offensivi; accusandola di ciò, e di aver prodotto in giudizio, durante il procedimento cautelare, documenti aziendali riservati, la società la licenziava. Il Tribunale di Reggio Emilia, ritenendo i fatti posti in essere giustificabili come reazione ad un fatto ingiusto altrui (ravvisato dalla macroscopica dequalificazione) proprio in relazione all’attenuante della provocazione, e che il possesso dei documenti non potesse ritenersi un’indebita appropriazione, aveva escluso la configurabilità di un giustificato motivo di licenziamento. La sentenza, che affrontava anche altre numerose e complesse problematiche, era oggetto di reciproci atti d’appello: prima da parte della dipendente, successivamente da parte dell’azienda, il cui gravame autonomamente proposto veniva considerato appello incidentale (cfr. Cass. 12.12.2001 n. 15687; Cass. 16.3.2002 n. 3045; Cass. 24.1.1995, n. 792; Cass. 4.6.1993, n. 6242). La Corte d’appello, dopo aver respinto alcune domande della lavoratrice e verificato che l’esame di alcune questioni (come quella inerente la sussistenza del demansionamento) era precluso per mancanza di impugnazione, ha esaminato la legittimità del licenziamento, riconoscendo, in astratto, che il licenziamento disciplinare può essere determinato anche da comportamenti estranei alla prestazione professionale, che, in relazione alla loro adeguata consistenza e censurabilità, costituiscano violazione degli obblighi di fedeltà all’impresa, ovvero della buona fede integrativa del contenuto contrattuale del rapporto di lavoro, implicante un leale comportamento verso il datore di lavoro (Cass. 15.1.1997, n. 360). I giudici di secondo grado hanno però ribadito che la valutazione della gravità del fatto non va operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 9.9.2003 n. 13188; cfr. pure, tra le tante, Cass. 10.1.2003 n. 237; Cass. 28.10.2000 n. 14257; Cass. 29.10.1999 n. 12197; Cass. 23.12.1997 n. 12986) ai moventi della condotta e alle particolari circostanze della sua realizzazione (Cass. 4.12.1995 n. 12484), al comportamento tenuto (prima e dopo la violazione) dal datore di lavoro e dal dipendente (Cass. 4.5.1985 n. 2815). A questo si aggiunga che “le opinioni espresse dal lavoratore dipendente, anche se vivacemente critiche nei confronti del proprio datore di lavoro, specie nell’esercizio di diritti sindacali, non possono costituire giusta causa di licenziamento in quanto espressione di diritti costituzionalmente garantiti o, quantomeno, di libertà di critica” salvo che il comportamento non si traduca in un atto illecito, quale l’ingiuria o la diffamazione ((Cass. 22.10.1998 n. 10511; cfr. pure Cass. 24.5.2001 n. 7091; Cass. 8.1.2000 n. 143; Cass. 16.5.1998 n. 4952; in tema di diritto di critica del dipendente v. anche Cass. 25.2.1986 n. 1173). Nella valutazione del caso di specie la Corte d’Appello ha ritenuto che il complessivo tenore delle dichiarazioni rese dalla lavoratrice al quotidiano siano rimaste nell’abito di un commento della vicenda che la aveva riguardato, anche considerando che l’intervista rilasciata si era contrapposta all’ingiusto demansionamento attuato nei suoi confronti dalla banca. Per quanto concerne la produzione in giudizio di documenti, i giudici d’appello hanno confermato il più recente indirizzo della Suprema Corte secondo cui “al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda” (Cass. 4.5.2002 n. 6420; cfr. pure Cass. 7.7.2004 n. 12528). La Corte ha infine osservato, in merito all’eccepito aliunde perceptum, che la statuizione del Tribunale concernente la liquidazione del risarcimento ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/1970, “non è stata impugnata dalla Bibop Carire, che ha sollevato detta questione solo con la memoria difensiva depositata in relazione all’appello avversario e successivamente al deposito del proprio atto di gravame, quando ormai aveva consumato il proprio diritto di impugnazione in ordine ai capi della sentenza che le erano sfavorevoli (cfr. Cass. 12.7.2004 n. 12826; Cass. 28.1.2004 n. 1616; Cass. 11.7.2003 n. 10937; Cass. 5.3.2003 n. 3286, Cass. 24.5.2001 n. 7088; Cass. 8.2.2001 n. 1805)”